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Il giardino del Sepolcro
di Pisa

Il giardino del Sepolcro dell’Ordine dei cavalieri di Gerusalemme (di Malta) si trovava nella cappella di San Cristoforo di Chinzica.
Era limitato dai beni dei conventi di Santa Maria del Carmine e di San Domenico.
Probabilmente, a parere di chi scrive, sorgeva nell’area sede dei licei Ulisse Dini e Galileo Galilei, a partire da via Benedetto Croce verso settentrione.
Il giardino è ricordato nel 1535 quando il procuratore-sindaco-fattore Francesco Iapini da Pontedera lo affittò a Giovanni Domenico Pasquini di Fivizzano e a Bartolomeo di Antonio Castellini di Sesto Fiorentino per il canone annuo di 26 scudi da pagare a rate trimestrali.
Dice la carta:

“Petium unum terre hortalis positum Pisis in cappella Sancti Christofori cum tribus domibus super se cui ad primo, 2° e 3° vie publice a 4° bona Sancte Marie del Carmino de Pisis et partim monialum Sancti Dominici de Pisis”.
Misurava circa 40 staiora (più di 2000 mq).
Nel 1538 fu concesso al solo Bartolomeo Castellini.
Nel ricordo è detto a confine con le mura cittadine (“moenia pisarum”), che oggi non esistono più in quella zona urbana.
Nel 1546 il “ giardino del Sepulcro” passò alla conduzione del carmelitano fra Alessandro Poli per 4 anni, dietro pagamento di 28 scudi in rate semestrali da scontare a 24 scudi se lo stesso religioso non avesse conseguito nell’anno una delle tre ufficiature da celebrare nella chiesa del Santo Sepolcro.
Ebbe anche gli obblighi di far “votare un pozzo et farli un lavatoio per l’ortaggi et di un altro che al presente si usa farlo affondare”, e di far “fare la porta dell’orto di nuovo ... et le fognie si habbino a mantenere”.
Il tutto a spese del priorato.

Nel 1643, al tempo di Giovan Carlo de’ Medici gran principe di Toscana, l’orto “dreto al Carmine”, risultava concesso a Giovanni di Donato Gabbriellini che non aveva potuto pagare tutto il canone di 52 ducati.
Il che aveva fatto salire il suo debito fino a 782 lire e l’insolvenza lo aveva condotto direttamente nelle carceri.
Tuttavia, per intercessione di Tiberio Ruschi ministro di Sua Altezza al Santo Sepolcro, e su mallevadoria del figlio Donato e di Domenico di Michele Pinsacchi di Marcianella era stato liberato dietro la sola promessa di pagare il dovuto a rate.
Sistemata la faccenda, lo stesso giorno del 1643 l’orto fu concesso a Domenico, Paolo e Francesco figli del fu Simone dei Maggi per cinque anni e per i soliti 52 scudi di canone.
L’atto lo dice confinante anche con la “fovea, seu scolo mediante”, ovvero con un canale interno alle mura.
Nel 1701 l’orto e le due case di servizio ebbero come locatario Iacopo di Giovanni Staggi per 65 scudi l’anno “con obbligo di rifare a sue spese parte del muro rovinato e resarcire il restante”.
Allora la bella proprietà presentava sopra 23 gelsi, tre noci, 15 fichi, 153 frutti, 112 pioppi e viti, 106 “frascati vitiati” (= con le viti).
Nel 1747 il suddetto orto era “muragliato da tre parti” e presso i “terrapieni delle mura”.
Aveva due case sopra: 1) l’abitazione dell’ortolano in via Carriola (oggi via Giordano Bruno), a due piani compreso quello terreno, che era composto di tre stanze (cucina, cantina e una terza di uso libero) e un portico con forno e altre “comodità”.
Una scala di mattoni poi conduceva al piano tetto, a sua volta costituito da cinque stanze delle quali una era la sala, e quattro camere (due tramezzate con assito).

2) La seconda casa restava nell’angolo della antica via Malegonnella ed era di due piani compreso il terreno.
Veniva usata per stalla e il piano al tetto per il fieno.
Rimaneva tuttavia abitabile, con due pozzi e loro pile, “bindolo” e forno.
Dal 1737 l’orto fu affittato di tre anni in tre anni a Giovanni Battista Colombini per il canone annuo di 65 ducati; la quota era da pagarsi mensilmente.

Paola Ircani Menichini, 17 gennaio 2020.
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Riguardo al mestiere e a qualche curiosità su di esso, nel maggio 1756 un gruppo di ortolani davanti al Commissario fece solenne giuramento e firmò – o fece firmare perché in parte illetterato – la dichiarazione che “in questa città di Pisa si è praticato e sempre si pratica, che le stime degl’orti ad uso d’ortolano si fanno a stima corrente, e non a contanti, benché si faccia menzione di scudi di lire sette l’uno”.
Il primo della lista era Giovanni Battista Colombini ortolano della Sacra Religione di Malta.
Seguivano Giuseppe Maria Bini ortolano del Carmine, Pietro Bini ortolano dei Guadagni, Giuseppe Romagnani ortolano della monache di San Giovanni in Fieri, Giovanni Matteucci ortolano di Antonio Paolo Fieschi e Stefano Covazi ortolano di Tagliagambe.
Giuseppe Stagi e Pompeo Monturi invece appaiono senza indicazione dell’orto dove lavoravano.